Pubblicato libro di Fabio Borlenghi
L'Aquila reale: biologia, status e conservazione.
Questa pubblicazione è rivolta principalmente agli amanti della Natura che intendono conoscere la "regina dei cieli": una delle specie più spettacolari che dominano i grandi spazi aerei e di cui l'Uomo è da sempre affascinato. Il testo è volutamente semplice ma rigorosamente scientifico, avulso da toni accademici; i brevi racconti all'inizio di ogni capitolo, ricavati dal diario di campo dell'Autore, integrano i contenuti con la descrizione di episodi realmente accaduti e rendono ancor più piacevole la lettura. Particolare cura è stata profusa all'iconografia, in ossequio all'immagine di bellezza in natura dell'Aquila reale, sia con illustrazioni originali, sia con gli scatti di alcune delle firme più prestigiose della fotografia naturalistica italiana.
Fabio Borlenghi è un naturalista autodidatta, esperto della biologia degli uccelli rapaci. Da oltre venticinque anni studia le aquile reali dell'Appennino e delle isole, in particolare la popolazione dell'Italia centrale, attraverso un'intensa e sistematica attività di ricerca di campo; da ciò scaturisce la profonda conoscenza, oltre che un amore sconfinato per la specie. È tra i fondatori di ALTURA, associazione nazionale che si occupa di protezione e conservazione dei rapaci e dei loro ambienti. Ha pubblicato diversi lavori scientifici sulla biologia dell' Aquila reale e di altri rapaci italiani. Da alcuni anni si batte con forza per la salvaguardia degli habitat montani e dei paesaggi naturali aggrediti da ogni sorta di speculazione, in particolare dall'avvento selvaggio di "Parchi eolici".
lunedì 30 maggio 2011
giovedì 26 maggio 2011
UN FALCO GRILLAIO NATO A MONTESCAGLIOSO NEL 2010, QUEST’ANNO NIDIFICA IN EMILIA ROMAGNA
Grazie al lavoro di inanellamento scientifico che da alcuni anni viene effettuato dal personale e collaboratori del Centro Provinciale Recupero Rapaci istituito dalla Provincia di Matera nella Riserva Naturale di San Giuliano è stato possibile aggiungere un importante dato allo stato delle conoscenze sulla dispersione e sulla migrazione dei falchi grillai lucani. Come noto le più popolose colonie d’Italia sono localizzate in Basilicata e Puglia ma da alcuni anni, in un circoscritta area della pianura padana in provincia di Parma, è stata scoperta un piccola colonia di grillaio formata di circa 15-20 coppie. Nell’ambito di un monitoraggio della specie condotto da ricercatori della LIPU che lavorano al Progetto LIFE ”Pianura parmense” coordinato dalla Provincia di Parma è stato osservato un esemplare femmina inanellato. Grazie ad approfondite osservazioni e fotodocumentazione del fotografo Michele Mendi è stato possibile leggere il codice dell’anello per poi cercare di ricostruire la storia di quell’individuo.
Il Responsabile del Centro Recupero Matteo Visceglia dichiara:
"Siamo stati immediatamente contattati dalla LIPU per sapere se quel codice potesse appartenere ad uno dei numerosi grillai che stiamo inanellando da alcuni anni con il supporto dell’inanellatore Egidio Mallia. Ebbene, è stata grande la sopresa quando, scorrendo i dati dei nostri registri, abbiamo scoperto che quel grillaio era stato da noi inanellato a Montescaglioso nel 2010 in un nido dell’Abbazia di San Michele Arcangelo, imponente struttura ideale per la nidificazione di questa specie. Il grillaio era un piccolo di circa 1 mese di età ed ancora incapace di volare. La sua presenza quest’anno in provincia di Parma ci dice tante cose ma soprattutto comincia a far luce sul fatto che le nostre colonie meridionali, abbastanza solide e ben distribuite nelle aree adatte, rappresentano un serbatoio importantissimo per incrementare la biodiversità in altre aree d’Italia, ove le condizioni ambientali sono idonee per le esigenze trofiche e riproduttive della specie. Grazie al Progetto LIFE Natura “Rapaci Lucani” che è stato coordinato tra il 2006 e il 2009 dalla Provincia di Matera è stato possibile rendere operativo da qualche anno un Centro che si occupa prevalentemente di Recupero e tutela del falco grillaio oltre a svolgere importanti iniziative di studio, informazione, divulgazione sull’importanza a livello internazionale delle nostre colonie urbane di grillai. Non ci stancheremo mai di spiegare a tutti che il grillaio è anche una grande risorsa ed opportunità per una corretta e sostenibile valorizzazione dei nostri centri storici e delle campagne circostanti, fondamentali per la conservazione di questa specie.
L’attività del Centro Recupero Rapaci viene condotta dal 2006 grazie ad un iniziale impulso garantito da finanziamenti del Progetto Life Natura “Rapaci Lucani”. Attualmente la struttura è gestita dalla società De Rerum Natura in collaborazione della Provincia di Matera. A contribuire al mantenimento del centro e delle altre attività di tutela dei rapaci si ricorda l’associazione ALTURA (Associazione per la Tutela dei Rapaci e dei loro Ambienti).
Ogni anno il Centro accoglie oltre 200 animali, gran parte dei quali appartenenti a specie particolarmente protette come grillai, gufi, civette, barbagianni, assioli, poiane, nibbi reali, nibbi bruni, falchi pellegrini, falchi pecchiaioli e numerose altre.
La collaborazione del veterinario dott. Vito Tralli e della dott.ssa Olimpia Lai si rivela fondamentale per garantire assistenza agli esemplari ferito o in difficoltà. Circa il 70 per cento degli animali, dopo un incessante lavoro di assistenza e cure che a volte dura anche mesi, ritrova la libertà spesso sotto gli occhi di turisti adulti e bambini o di intere scolaresche interessati a conoscere questa particolare attività di tutela della Natura e della Biodiversità. Nei prossimi giorni alcuni falchi saranno rimessi in libertà proprio presso l’abbazia di Montescaglioso.
Ci auguriamo che il supporto degli Enti e delle Istituzioni preposte alla tutela della fauna protetta possa essere più adeguato rispetto alle risorse impegnate quest’anno. L’ enorme mole di lavoro necessario a garantire ogni giorno dell’anno tutti gli interventi e l’assistenza necessari richiedono una maggiore attenzione sia da parte del pubblico che del privato per non lasciare in grandi difficoltà operative una struttura che contribuisce attivamente allo sviluppo di una cultura naturalistica del nostro territorio necessaria in un quadro di valorizzazione turistica ed ambientale dei centri storici della provincia di Matera.
Il ruolo del Centro Recupero è fondamentale anche per gli importanti risvolti didattici e di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini e delle scuole. Non a caso spesso alle liberazioni partecipa un pubblico attento ed interessato al lavoro del Centro. Altre importanti funzioni del nostro lavoro sono legate al contributo nella ricerca e monitoraggio della fauna, alla collaborazione con le strutture sanitarie locali per alcuni aspetti inerenti il controllo e segnalazione di alcune patologie riscontrate negli esemplari selvatici, allo studio della dispersione, della migrazione degli esemplari rilasciati e di ogni altra problematica che solo attraverso la gestione di una struttura del genere può emergere. Il Centro Recupero inoltre offre consulenza, limitatamente alle proprie possibilità di interevento, ai cittadini anche nei casi in cui vi sono particolari situazioni che coinvolgono il rapporto tra essi e la fauna selvatica, con particolare riferimento alle specie sinantropiche. Chiunque ritrovi rapaci in difficoltà può contattare la provincia di Matera, il Corpo Forestale dello Stato, la Polizia Municipale ed tutti gli altri organismi preposti presenti sul territorio. Il nostro recapito telefonico diretto è il 339-1637510.
Leggi il comunicato della LIPU qui: http://www.lipu.it/news/no.asp?1176
mercoledì 25 maggio 2011
martedì 17 maggio 2011
CONSERVAZIONE DEI RAPACI: UN BUON ESEMPIO DI COLLABORAZIONE
Lieto fine per la vicenda dei nidi di Falco pellegrino sul monte San Liberatore a Salerno. Si è conclusa positivamente la collaborazione tra Autostrade Meridionali e l’Associazione Altura Delegazione Campania. Agli inizi di marzo a seguito di segnalazioni di nostri soci contattavamo Autostrade Meridionali relativamente alla messa in opera di reti di sicurezza atte a impedire la caduta di massi sul tratto autostradale tra Salerno e Cava de’ Tirreni. L’apposizione di queste reti avrebbe impedito il regolare utilizzo delle cavità naturali per la riproduzione del Falco pellegrino presente in zona da anni con una coppia regolarmente monitorata dai soci di Altura. In seguito al nostro intervento coinvolgevamo nell’azione il Comune di Vietri sul mare nella persona dell’assessore Luigi Gorga e contattavamo i funzionari dell’Ente Autostrade e i tecnici della ditta IDIR di Trigesimo (Ud), proponendo di non chiudere con le reti le cavità naturali presenti nella parete rocciosa.
I funzionari della IDIR, dimostrando una sensibilità non comune oltre ad accogliere la richiesta di Altura di non apporre le reti davanti alle cavità naturali, ci segnalavano anche tutti gli altri nidi di altre coppie di rapaci trovati in parete e da loro fotografati, mappati e lasciati opportunamente liberi.
Incredibile!
Non immaginavamo di trovare persone così sensibili ai problemi dei nostri amici rapaci. Questo piccolo episodio dimostra che con la buona volontà e sensibilità culturale si possono anche realizzare opere necessarie a tutelare l’incolumità umana coniugando anche la salvaguardia di specie in via di estinzione, minimizzando l’impatto che queste opere ingegneristiche hanno sull’ambiente e sul ciclo biologico di specie ormai rare come il Pellegrino e protette da Direttive Europee e da Leggi Statali e Regionali.
Un grazie alla IDIR di Trigesimo (Ud) e ai funzionari del Gruppo Autostrade Meridionali; senza il loro interessamento tutto ciò non sarebbe stato possibile. La positiva collaborazione tra Enti, Associazioni e Imprese private, consentirà al Falco pellegrino, altrove estinto, di nidificare sul Monte San Liberatore e di volteggiare sulla Costiera Amalfitana.
San Mango Piemonte, 16 maggio 2011
Alfonso Apicella
DELEGAZIONE Campania di ALTURA
I funzionari della IDIR, dimostrando una sensibilità non comune oltre ad accogliere la richiesta di Altura di non apporre le reti davanti alle cavità naturali, ci segnalavano anche tutti gli altri nidi di altre coppie di rapaci trovati in parete e da loro fotografati, mappati e lasciati opportunamente liberi.
Incredibile!
Non immaginavamo di trovare persone così sensibili ai problemi dei nostri amici rapaci. Questo piccolo episodio dimostra che con la buona volontà e sensibilità culturale si possono anche realizzare opere necessarie a tutelare l’incolumità umana coniugando anche la salvaguardia di specie in via di estinzione, minimizzando l’impatto che queste opere ingegneristiche hanno sull’ambiente e sul ciclo biologico di specie ormai rare come il Pellegrino e protette da Direttive Europee e da Leggi Statali e Regionali.
Un grazie alla IDIR di Trigesimo (Ud) e ai funzionari del Gruppo Autostrade Meridionali; senza il loro interessamento tutto ciò non sarebbe stato possibile. La positiva collaborazione tra Enti, Associazioni e Imprese private, consentirà al Falco pellegrino, altrove estinto, di nidificare sul Monte San Liberatore e di volteggiare sulla Costiera Amalfitana.
San Mango Piemonte, 16 maggio 2011
Alfonso Apicella
DELEGAZIONE Campania di ALTURA
sabato 14 maggio 2011
FROSOLONE (IS): PALA EOLICA COLPISCE NIBBIO REALE
COMUNICATO STAMPA LIPU
LIPU: casi frequenti. Studi preliminari superficiali, è necessario chiudere gli impianti killer sorti nelle ZPS
Un altro splendido Nibbio reale è stato trovato da alcuni gitanti ieri ai piedi di una torre eolica a Frosolone (IS), colpito da una maledetta pala rotante.
Il raro rapace è stato portato al Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU, dove è stato sottoposto agli accertamenti del veterinario che ne ha decretato l'impossibilità del recupero.
Il Nibbio reale è stato colpito di striscio dalla pala eolica, ma ha perso le falangi e l'ala presenta fratture multiple e scomposte.
"Per Frosolone è già il secondo Nibbio in pochi mesi - informano alla LIPU - ormai si moltiplicano le segnalazioni di animali morti ai piedi delle torri eoliche, falciati durante il volo o la migrazione".
Gli ambientalisti sostengono inoltre che questi ritrovamenti sono solo la punta di un iceberg. Molte carcasse vengono prelevate nottetempo da cani e volpi, per cui risulta di molto sottovalutato il numero delle perdite.
Si tratta soprattutto di Poiane, ma cadono vittima sovente animali più rari come in questo ultimo caso.
Da diversi anni la LIPU molisana sostiene l'impossibilità di tollerare impianti eolici nati all'interno delle aree Natura 2000, che l'Europa ha concepito per la salvaguardia delle specie a rischio e non per la loro estinzione. In Molise invece sono sorti torri eoliche a Ripabottoni, Longano e Frosolone, tutte in aree dove non dovrebbero esserci.
"Non è tollerabile questa palese violazione delle Direttive UE - proseguono alla LIPU - e il continuo ritrovamento di animali uccisi dalle pale ci spinge a chiedere formalmente la chiusura di tutti gli impianti costruiti nelle IBA e ZPS (Zone a protezione speciale)".
Ormai il grande fronte di opposizione alla proliferazione selvaggia dell'eolico ha innescato la nascita dell'indignazione pubblica e politici ed amministratori devono tenerne conto.
"Vorremmo sapere dalla Regione Molise - concludono alla LIPU-Birdlife Italia - quali sono gli interventi che ha adottato per tutelare l'avifauna minacciata, come prevedono le normative, visto che invece si continua ad autorizzare la costruzione di centinaia di torri eoliche"
Casacalenda, 13 maggio 2011
http://www.flickr.com/photos/damianoangela/5716623572/in/photostream
LIPU: casi frequenti. Studi preliminari superficiali, è necessario chiudere gli impianti killer sorti nelle ZPS
Un altro splendido Nibbio reale è stato trovato da alcuni gitanti ieri ai piedi di una torre eolica a Frosolone (IS), colpito da una maledetta pala rotante.
Il raro rapace è stato portato al Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU, dove è stato sottoposto agli accertamenti del veterinario che ne ha decretato l'impossibilità del recupero.
Il Nibbio reale è stato colpito di striscio dalla pala eolica, ma ha perso le falangi e l'ala presenta fratture multiple e scomposte.
"Per Frosolone è già il secondo Nibbio in pochi mesi - informano alla LIPU - ormai si moltiplicano le segnalazioni di animali morti ai piedi delle torri eoliche, falciati durante il volo o la migrazione".
Gli ambientalisti sostengono inoltre che questi ritrovamenti sono solo la punta di un iceberg. Molte carcasse vengono prelevate nottetempo da cani e volpi, per cui risulta di molto sottovalutato il numero delle perdite.
Si tratta soprattutto di Poiane, ma cadono vittima sovente animali più rari come in questo ultimo caso.
Da diversi anni la LIPU molisana sostiene l'impossibilità di tollerare impianti eolici nati all'interno delle aree Natura 2000, che l'Europa ha concepito per la salvaguardia delle specie a rischio e non per la loro estinzione. In Molise invece sono sorti torri eoliche a Ripabottoni, Longano e Frosolone, tutte in aree dove non dovrebbero esserci.
"Non è tollerabile questa palese violazione delle Direttive UE - proseguono alla LIPU - e il continuo ritrovamento di animali uccisi dalle pale ci spinge a chiedere formalmente la chiusura di tutti gli impianti costruiti nelle IBA e ZPS (Zone a protezione speciale)".
Ormai il grande fronte di opposizione alla proliferazione selvaggia dell'eolico ha innescato la nascita dell'indignazione pubblica e politici ed amministratori devono tenerne conto.
"Vorremmo sapere dalla Regione Molise - concludono alla LIPU-Birdlife Italia - quali sono gli interventi che ha adottato per tutelare l'avifauna minacciata, come prevedono le normative, visto che invece si continua ad autorizzare la costruzione di centinaia di torri eoliche"
Casacalenda, 13 maggio 2011
http://www.flickr.com/photos/damianoangela/5716623572/in/photostream
mercoledì 11 maggio 2011
Cosa succede al Territorio con il D.Lgs 28/2011 Romani sulle rinnovabili ?
Con il Decreto Romani del 03.03.2011 pubblicato in GU 28.03.2011 sono state introdotte delle novità nel settore delle rinnovabili. Limitatamente agli aspetti di maggiore interesse per le tutele del territorio è opportuno identificarne alcuni e cercare di capire quali possano essere le emergenze da perseguire in una politica complessiva di salvaguardia.
PROCEDURE
Intanto viene introdotta la “procedura abilitativa semplificata” (PAS) che va a sostituire la D.I.A. (Dichiarazione di Inizio Attività) già prevista per talune tipologie di impianti nelle Linee Guida Nazionali. Tale procedura abilitativa è una sorta di super DIA con cui, indicativamente, sembra che sia il comune e non più il proponente ad assumersi l’onere di raccogliere eventuali atti di assenso necessari a corredare la richiesta del titolo abilitativo.
E’ demandato alle Regioni il compito di individuare formule con cui prevenire effetti cumulativi ed elusioni in ordine ad un utilizzo improprio della PAS. Cosa che ragionevolmente non avverrà mai o sarà del tutto superficiale con intuibili conseguenze.
Sempre nel campo delle procedure, per i procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del Decreto, viene sancita la compressione a 3 mesi (erano 6 mesi) del tempo necessario a completare il procedimento di Autorizzazione Unica con relative conferenze di servizio, al netto dei tempi previsti della procedura di verifica/VIA.
Attenzione: al netto dei “TEMPI previsti per …” e non semplicemente al netto della verifica/VIA. Sembrerebbe che i tempi già cadenzati per le valutazioni di carattere ambientale diventano essi stessi contingentati ai fini della legittimità sul procedimento complessivo. Fino ad oggi era orientamento consolidato che la procedura di verifica/VIA rappresentasse un endoprocedimento a se stante, seppur con tempi programmati ma quasi mai rispettati per intuibili difficoltà o per approfondimenti richiesti al proponente.
Questo dettaglio rischia di offrire una ulteriore sponda agli speculatori in sede di ricorso amministrativo visti i tempi e le capacità organizzative della Pubblica Amministrazione.
Assolutamente deleterio è l’art.6, comma 9, : le Regioni possono elevare la soglia di potenza fino a 1 MW nell’applicazione della PAS per tutte le tipologie di impianti FER.
Ove applicata, questa disposizione comporterà il caos totale come accaduto in Puglia dove una simile quanto indebita deregolamentazione è stata drammaticamente sperimentata per l’eolico con la D.I.A.. Centinaia e centinaia di istanze sono approdate a UTC comunali del tutto impreparati (o compiacenti), fino a quando la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale rispetto ai più bassi limiti che erano previsti dalla norma nazionale.
In realtà il provvedimento appare del tutto funzionale a “salvare” un’altra analoga norma di deregolamentazione tutt’ora disastrosamente in vigore in Basilicata, sebbene dichiarata illegittima anche qui con un recente pronunciamento della Corte Costituzionale, evidentemente vanificato dall’articolo in questione. Altre Regioni si stanno già orientando in questa direzione.
La deregolamentazione era purtroppo sostenuta anche nella proposta di Legge di iniziativa popolare sull’Energia, promossa mesi fa con raccolte di firme da parte di alcune associazioni (Legambiente, Greenpeace, Wwf ed altre).
Quanto alla “Comunicazione per attività in edilizia libera”, essa continua ad applicarsi secondo quando previsto dalle recenti Linee Guida nazionali (per micro impianti, es. eolico con rotore da 1m e h da 1,5m). Ma anche qui è prevista la possibilità per le Regioni di elevare le soglie di potenza fino a 50KW o di qualsivoglia potenza per FV sui tetti, al netto di eventuali norme di tutela ambientale applicabili al caso.
REQUISITI per il FOTOVOLTAICO a TERRA
L’art.10 comma 4 introduce un positivo (ma non esaustivo) argine al FV sui terreni liberi. Esso esclude dagli incentivi (quindi non applica un divieto urbanistico che sarebbe stato necessario concertare obbligatoriamente con le Regioni) tutti gli impianti FV superiori a 1 MW con moduli collocati a terra sui terreni agricoli.
A questo limite si aggiunge la distanza minima di 2 Km nel caso gli impianti siano su terreni appartenenti allo stesso proprietario. In ogni caso non può essere destinato più del 10% del terreno nella disponibilità del proponente.
Tuttavia queste prescrizioni non possono considerarsi esaustive per la tutela dei terreni agricoli se si considera che 1 MW di FV corrispondono pur sempre a circa 2 ettari.
Inoltre questa disposizione non si applica ai terreni abbandonati da almeno 5 anni.
Non è chiaro cosa e come si possa intendere per “abbandonati”, nemmeno come e da quando si possa certificare lo stato di “abbandono” ma paradossalmente emerge un grave rischio proprio per le aree più pregevoli dal punto di vista ambientale. In genere sono proprio gli incolti o i pascoli, cioè terreni non utilizzati dall’agricoltura, a rappresentare le aree di maggiore interesse per la concentrazione di biodiversità che presentano e per l’ovvio valore ecologico e paesaggistico.
Degno di attenzione è il transitorio con cui entra in vigore questa disposizione: essa non si applica ai progetti che abbiano conseguito l’autorizzazione entro la data di entrata in vigore del Decreto o presentati entro il 1 gennaio 2011 PURCHE’, tuttavia, l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (29 marzo 2012).
E’ del tutto evidente che per salvare le aree già gravate da progetti presentati o addirittura autorizzati, gioca un ruolo fondamentale il “rallentamento” dell’iter autorizzativo e dei tempi realizzativi di un grosso impianto, che indurrebbero a loro volta un fattore di rischio per la società proponente e per l’istituto di credito finanziatore, quindi, si spera, l’orientamento a desistere nel realizzare un impianto di grossa taglia per quanto autorizzato !
INCENTIVI
E’ previsto che agli impianti oltre 5 MW entrati in esercizio dal 1 gennaio 2013 siano assegnati incentivi attraverso aste al ribasso rispetto ad una soglia predefinita. L’incentivo sarà diversificato per fonti, soglie di potenza ed altri criteri. Non è chiaro se vi saranno anche criteri di natura territoriale, quindi orientati a compensare la diversa producibilità dell’impianto sul territorio nazionale, quindi nell’ottica di perseguire le soglie di potenza che sarebbero assegnate alle regioni.
E’ previsto inoltre un sistema di transizione dal vecchio al nuovo sistema incentivante anche per gli impianti che già in esercizio o che entrino in esercizio prima del 2013.
In particolare i Certificati Verdi per l’eolico resteranno in vigore fino a tutto il 2015 e il valore di quelli eccedenti il rispetto della quota d’obbligo (non negoziati sul mercato), e quindi di cui il GSE garantisce il ritiro, è pari al 78% del prezzo stabilito.
Entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto (entro settembre) dovranno essere emanati i decreti che disciplinano l’incentivazione per gli impianti in genere sotto i 5MW e quelli sottoposti a rifacimento, il sistema di aste per quelli oltre 5 MW e i sistemi di transizione.
Per il FV l’incentivo attuale è garantito per gli impianti che entrino in esercizio entro maggio c.a.. Tuttavia è in corso di pubblicazione il decreto attuativo in ordine alla incentivazione successiva a maggio.
E’ prevista la possibilità di accordi tra l’Italia ed altri Stati per trasferimenti statistici di energia allo scopo di rispettare le quote di competenza di rinnovabile ma solo ove non fossero raggiunti gli obiettivi intermedi. Analogamente è prevista la possibilità tra le Regioni, o tra queste ed enti esteri, di negoziare il trasferimento di quote di produzione energetica da FER rispetto a quelle assegnate.
E’ introdotta, inoltre, l’interdizione agli incentivi per tutte quelle figure eventualmente coinvolte in istanze di accesso agli incentivi basate su dati falsi o addirittura prive di titoli abilitativi, nonché sanzioni amministrative in tal senso.
A giudicare dalla mole di richieste di autorizzazione di impianti eolici che tutt’ora continuano drammaticamente ad inondare le Autorità competenti, non sembra che l’orientamento politico introdotto con il Decreto abbia scoraggiato gli speculatori, almeno nel conseguimento di autorizzazioni.
E’ ragionevole immaginare che la lobby eolica, pur nell’incertezza del momento, abbia comunque interesse a saturare il mercato dei titoli abilitativi sul territorio per poi giocarli eventualmente con il nuovo sistema incentivante sperando che sia il più lauto possibile, magari condizionandolo pesantemente la concertazione di questi mesi.
DECRETI ATTUATIVI
Tanto dipende quindi dai decreti attuativi in materia di incentivazione, dai quali potranno meglio identificarsi gli interessi alla vera e propria realizzazione degli impianti, anche di quelli già autorizzati ma che dovranno, anche se realizzati prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema incentivante, essere traghettati comunque verso il nuovo sistema, presumibilmente maturando alcuni vantaggi per via di diritti acquisiti.
Questa fase transitoria è quindi determinante, soprattutto per l’eolico.
Sarebbe utile anche comprendere quanto rapida possa essere la realizzazione di un impianto eolico e quando effettivamente oggi appaia attraente l’investimento, soprattutto nelle aree meridionali, malgrado l’ipotetico fattore di rischio.
Analogamente all’interdizione dei grossi impianti FV sui terreni liberi ottenuta attraverso lo strumento della disincentivazione, appare utile perseguire una ipotesi di condizionamento dell’incentivo eolico in base alla tipologia di impianto e alla sua collocazione.
In altri termini l’interdizione all’incentivo per impianti ricadenti in particolari situazioni impattanti di rilievo nazionale, e quindi di interesse dello Stato (pur con i necessari quanto pericolosi transitori rispetto ai diritti acquisiti), sarebbe immediatamente emanabile senza concertazioni capestro con le Regioni e come invece sarebbe d’obbligo per vere e proprie misure di tutela di carattere territoriale o urbanistica.
In altri termini il Governo, anche alla luce della sconcertante, mancata stesura delle Linee Guida da parte delle Regioni (in ottemperanza alle Linee Guida nazionali), nel migliore dei casi emanate in una ottica di scarsa efficacia, potrebbe escludere totalmente dall’incentivo alcuni nuovi impianti eolici ricadenti, ad esempio, entro una fascia di rispetto dai siti Unesco, dai Parchi Nazionali, da aree a vincolo paesaggistico o gravate da siti riproduttivi di specie faunistiche di rilievo internazionale, ecc, ecc, ancorché autorizzati ma non realizzati entro un dato periodo.
Ma la valutazione complessiva sull’eolico deve collegarsi anche all’imminente decreto attuativo sull’incentivazione al FV.
Intanto emerge un elemento di preoccupazione poiché, all’art.3 comma 2 del decreto le cave sono escluse dalle “aree agricole”, dove invece vigono le limitazioni per il grande FV over 1 MW.
Un simile provvedimento:
a) introduce il potenziale degrado definitivo di aree che, per quanto occupate da cave, anche dismesse possono notoriamente essere oggetto di colonizzazione per la biodiversità che in questi siti può svilupparsi autonomamente e tornare a rappresentare territorio non ancora “consumato”.
b) Manderebbe all’aria fideiussioni e programmi che i gestori delle cave hanno dovuto prevedere per il ripristino paesaggistico e ambientale all’atto della dismissione, in base a norme di settore. Un regalo ai cavatori e una offesa agli interessi collettivi autentici.
Per contro non compaiono misure per disincentivare azioni elusive attraverso le cosiddette “serre fotovoltaiche”, nuova frontiera della speculazione energetica.
Ulteriore aspetto negativo è determinato dal parere/richiesta espresso dalla Conferenza Stato Regioni sul decreto lo scorso 28 aprile in merito alla definizione di “piccoli impianti” ai fini delle soglie incentivanti. La Conferenza ha chiesto vergognosamente di elevare la potenza dai previsti 200KW, su edifici o in regime di scambio sul posto, a quella di 1 MW (2 ettari) indipendentemente dalla allocazione !
Più nel dettaglio di questo decreto attuativo, si evince che la potenza FV installabile prevista in scaglioni periodici dovrebbe raggiungere la soglia di 23.000 MW al 2016 invece che gli 8000 MW al 2010 prima previsti ! Si ricorda che il GSE ha consuntivato circa 7000 MW in esercizio e quindi l’imminente superamento dei previsti 8000 MW.
Esulando da una pur giusta riflessione sulla inopportunità di prevedere questa soglia al 2016 e non più economicamente spalmata fino al 2020, emergono due considerazioni:
1) Se per assurdo l’eolico fosse bloccato ai 6000 MW (5000 torri) in esercizio al 31.12.2010 (ma almeno altrettanti sono ormai i MW tra follemente autorizzati o con parere ambientale espresso), unitamente ai 23.000 MW di FV previsto si raggiungerebbero quasi 30.000 MW di potenza elettrica attivabile da fonti intermittenti non programmabili . Potenza che, per la sicurezza del sistema elettrico nazionale, non dovrebbe superare il 20 % della potenza massima in gioco (almeno allo stato attuale delle tecnologie), ovvero il 20% di 56.000 MW.
2) Nell’ambito del P.A.N. (Piano d’Azione Nazionale) sulle FER (30.06.2010) trasmesso dal Governo alla UE, l’Italia si è impegnata a raggiungere al 2020 la sua quota di rinnovabile attraverso una serie di misure tra cui, nel comparto elettrico appunto, l’insediamento di una capacità di 8.000 MW di FV e 12.000 MW di eolico on-shore ricavandone le relative previsioni di produzione energetica: rispettivamente 9.650 GWh e 18.000 GWh.
E’ evidente che se la potenza di FV lievitasse a 23.000 MW (per altro al 2016) ci si attenderebbe in proporzione (pur senza immaginare margini di miglioramento nella resa della tecnologia FV) oltre 27700 GWh di energia, quindi oltre 18.000 GWh di energia IN PIU’, pari a TUTTO il contributo eolico al 2020 ma, ancor più opportunamente, sufficiente ad assorbire abbondantemente i 9000 GWh immaginabili con gli ulteriori 6000 MW di eolico ancora non realizzati (per quanto meno produttivi rispetto ai “primi” 6000 MW che hanno saturato già le aree relativamente più ventose)
3) Una serie di misure a più alta efficacia nel comparto delle rinnovabili termiche, dell’efficienza energetica, della rimodulazione dei trasporti sono ancora al palo e necessitano di incentivi che si fa fatica a reperire. Invece fiumi di denaro scorrono dalle bollette degli italiani alle società eoliche con effetti territoriali tutt’altro che indolori rispetto ai comparti anzidetti.
In conclusione sarebbe possibile, doveroso, respingere il completamento del disastro eolico in atto, attraverso i futuri decreti attuativi da emanarsi sull’incentivazione eolica, prevedendo:
- un drastico abbassamento della soglia di potenza eolica prevista nel PAN a fronte della notevole lievitazione di quella FV.
- una più che legittima e immediata disincentivazione di questa fonte, sia in valore assoluto, che penalizzando ulteriormente a monte quegli impianti eccessivamente impattanti ancorché autorizzati ma ancora non realizzati, almeno entro un certo transitorio temporale.
- una limitata premialità solo per progetti che si facciano carico di assorbire quote di potenza da aree di elevato pregio ambientale devastate da tali impianti.
- una definizione, per quanto imbarazzante, degli obiettivi da assegnare alle varie Regioni. In tal caso infatti si scoprirebbe come alcune regioni in realtà abbiano più che superato queste previsioni, potendosi già negoziare forme di riequilibrio “statistico” dell’energia prodotta a fronte di accordi interregionali.
Potrebbe essere rilanciato, e trovare concreta applicazione, l’appello promosso di recente da alcune personalità di spicco:
BASTA eolico. PIU fotovoltaico, NON “tutto e subito” , NON sui terreni liberi .
…. e iniziando a sostenere la ricerca nel settore, senza della quale le “nuove” rinnovabili sono destinate ad offrire contributi percentuali da prefisso telefonico o quasi.
E.C. 06.05.2011
PROCEDURE
Intanto viene introdotta la “procedura abilitativa semplificata” (PAS) che va a sostituire la D.I.A. (Dichiarazione di Inizio Attività) già prevista per talune tipologie di impianti nelle Linee Guida Nazionali. Tale procedura abilitativa è una sorta di super DIA con cui, indicativamente, sembra che sia il comune e non più il proponente ad assumersi l’onere di raccogliere eventuali atti di assenso necessari a corredare la richiesta del titolo abilitativo.
E’ demandato alle Regioni il compito di individuare formule con cui prevenire effetti cumulativi ed elusioni in ordine ad un utilizzo improprio della PAS. Cosa che ragionevolmente non avverrà mai o sarà del tutto superficiale con intuibili conseguenze.
Sempre nel campo delle procedure, per i procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del Decreto, viene sancita la compressione a 3 mesi (erano 6 mesi) del tempo necessario a completare il procedimento di Autorizzazione Unica con relative conferenze di servizio, al netto dei tempi previsti della procedura di verifica/VIA.
Attenzione: al netto dei “TEMPI previsti per …” e non semplicemente al netto della verifica/VIA. Sembrerebbe che i tempi già cadenzati per le valutazioni di carattere ambientale diventano essi stessi contingentati ai fini della legittimità sul procedimento complessivo. Fino ad oggi era orientamento consolidato che la procedura di verifica/VIA rappresentasse un endoprocedimento a se stante, seppur con tempi programmati ma quasi mai rispettati per intuibili difficoltà o per approfondimenti richiesti al proponente.
Questo dettaglio rischia di offrire una ulteriore sponda agli speculatori in sede di ricorso amministrativo visti i tempi e le capacità organizzative della Pubblica Amministrazione.
Assolutamente deleterio è l’art.6, comma 9, : le Regioni possono elevare la soglia di potenza fino a 1 MW nell’applicazione della PAS per tutte le tipologie di impianti FER.
Ove applicata, questa disposizione comporterà il caos totale come accaduto in Puglia dove una simile quanto indebita deregolamentazione è stata drammaticamente sperimentata per l’eolico con la D.I.A.. Centinaia e centinaia di istanze sono approdate a UTC comunali del tutto impreparati (o compiacenti), fino a quando la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale rispetto ai più bassi limiti che erano previsti dalla norma nazionale.
In realtà il provvedimento appare del tutto funzionale a “salvare” un’altra analoga norma di deregolamentazione tutt’ora disastrosamente in vigore in Basilicata, sebbene dichiarata illegittima anche qui con un recente pronunciamento della Corte Costituzionale, evidentemente vanificato dall’articolo in questione. Altre Regioni si stanno già orientando in questa direzione.
La deregolamentazione era purtroppo sostenuta anche nella proposta di Legge di iniziativa popolare sull’Energia, promossa mesi fa con raccolte di firme da parte di alcune associazioni (Legambiente, Greenpeace, Wwf ed altre).
Quanto alla “Comunicazione per attività in edilizia libera”, essa continua ad applicarsi secondo quando previsto dalle recenti Linee Guida nazionali (per micro impianti, es. eolico con rotore da 1m e h da 1,5m). Ma anche qui è prevista la possibilità per le Regioni di elevare le soglie di potenza fino a 50KW o di qualsivoglia potenza per FV sui tetti, al netto di eventuali norme di tutela ambientale applicabili al caso.
REQUISITI per il FOTOVOLTAICO a TERRA
L’art.10 comma 4 introduce un positivo (ma non esaustivo) argine al FV sui terreni liberi. Esso esclude dagli incentivi (quindi non applica un divieto urbanistico che sarebbe stato necessario concertare obbligatoriamente con le Regioni) tutti gli impianti FV superiori a 1 MW con moduli collocati a terra sui terreni agricoli.
A questo limite si aggiunge la distanza minima di 2 Km nel caso gli impianti siano su terreni appartenenti allo stesso proprietario. In ogni caso non può essere destinato più del 10% del terreno nella disponibilità del proponente.
Tuttavia queste prescrizioni non possono considerarsi esaustive per la tutela dei terreni agricoli se si considera che 1 MW di FV corrispondono pur sempre a circa 2 ettari.
Inoltre questa disposizione non si applica ai terreni abbandonati da almeno 5 anni.
Non è chiaro cosa e come si possa intendere per “abbandonati”, nemmeno come e da quando si possa certificare lo stato di “abbandono” ma paradossalmente emerge un grave rischio proprio per le aree più pregevoli dal punto di vista ambientale. In genere sono proprio gli incolti o i pascoli, cioè terreni non utilizzati dall’agricoltura, a rappresentare le aree di maggiore interesse per la concentrazione di biodiversità che presentano e per l’ovvio valore ecologico e paesaggistico.
Degno di attenzione è il transitorio con cui entra in vigore questa disposizione: essa non si applica ai progetti che abbiano conseguito l’autorizzazione entro la data di entrata in vigore del Decreto o presentati entro il 1 gennaio 2011 PURCHE’, tuttavia, l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (29 marzo 2012).
E’ del tutto evidente che per salvare le aree già gravate da progetti presentati o addirittura autorizzati, gioca un ruolo fondamentale il “rallentamento” dell’iter autorizzativo e dei tempi realizzativi di un grosso impianto, che indurrebbero a loro volta un fattore di rischio per la società proponente e per l’istituto di credito finanziatore, quindi, si spera, l’orientamento a desistere nel realizzare un impianto di grossa taglia per quanto autorizzato !
INCENTIVI
E’ previsto che agli impianti oltre 5 MW entrati in esercizio dal 1 gennaio 2013 siano assegnati incentivi attraverso aste al ribasso rispetto ad una soglia predefinita. L’incentivo sarà diversificato per fonti, soglie di potenza ed altri criteri. Non è chiaro se vi saranno anche criteri di natura territoriale, quindi orientati a compensare la diversa producibilità dell’impianto sul territorio nazionale, quindi nell’ottica di perseguire le soglie di potenza che sarebbero assegnate alle regioni.
E’ previsto inoltre un sistema di transizione dal vecchio al nuovo sistema incentivante anche per gli impianti che già in esercizio o che entrino in esercizio prima del 2013.
In particolare i Certificati Verdi per l’eolico resteranno in vigore fino a tutto il 2015 e il valore di quelli eccedenti il rispetto della quota d’obbligo (non negoziati sul mercato), e quindi di cui il GSE garantisce il ritiro, è pari al 78% del prezzo stabilito.
Entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto (entro settembre) dovranno essere emanati i decreti che disciplinano l’incentivazione per gli impianti in genere sotto i 5MW e quelli sottoposti a rifacimento, il sistema di aste per quelli oltre 5 MW e i sistemi di transizione.
Per il FV l’incentivo attuale è garantito per gli impianti che entrino in esercizio entro maggio c.a.. Tuttavia è in corso di pubblicazione il decreto attuativo in ordine alla incentivazione successiva a maggio.
E’ prevista la possibilità di accordi tra l’Italia ed altri Stati per trasferimenti statistici di energia allo scopo di rispettare le quote di competenza di rinnovabile ma solo ove non fossero raggiunti gli obiettivi intermedi. Analogamente è prevista la possibilità tra le Regioni, o tra queste ed enti esteri, di negoziare il trasferimento di quote di produzione energetica da FER rispetto a quelle assegnate.
E’ introdotta, inoltre, l’interdizione agli incentivi per tutte quelle figure eventualmente coinvolte in istanze di accesso agli incentivi basate su dati falsi o addirittura prive di titoli abilitativi, nonché sanzioni amministrative in tal senso.
A giudicare dalla mole di richieste di autorizzazione di impianti eolici che tutt’ora continuano drammaticamente ad inondare le Autorità competenti, non sembra che l’orientamento politico introdotto con il Decreto abbia scoraggiato gli speculatori, almeno nel conseguimento di autorizzazioni.
E’ ragionevole immaginare che la lobby eolica, pur nell’incertezza del momento, abbia comunque interesse a saturare il mercato dei titoli abilitativi sul territorio per poi giocarli eventualmente con il nuovo sistema incentivante sperando che sia il più lauto possibile, magari condizionandolo pesantemente la concertazione di questi mesi.
DECRETI ATTUATIVI
Tanto dipende quindi dai decreti attuativi in materia di incentivazione, dai quali potranno meglio identificarsi gli interessi alla vera e propria realizzazione degli impianti, anche di quelli già autorizzati ma che dovranno, anche se realizzati prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema incentivante, essere traghettati comunque verso il nuovo sistema, presumibilmente maturando alcuni vantaggi per via di diritti acquisiti.
Questa fase transitoria è quindi determinante, soprattutto per l’eolico.
Sarebbe utile anche comprendere quanto rapida possa essere la realizzazione di un impianto eolico e quando effettivamente oggi appaia attraente l’investimento, soprattutto nelle aree meridionali, malgrado l’ipotetico fattore di rischio.
Analogamente all’interdizione dei grossi impianti FV sui terreni liberi ottenuta attraverso lo strumento della disincentivazione, appare utile perseguire una ipotesi di condizionamento dell’incentivo eolico in base alla tipologia di impianto e alla sua collocazione.
In altri termini l’interdizione all’incentivo per impianti ricadenti in particolari situazioni impattanti di rilievo nazionale, e quindi di interesse dello Stato (pur con i necessari quanto pericolosi transitori rispetto ai diritti acquisiti), sarebbe immediatamente emanabile senza concertazioni capestro con le Regioni e come invece sarebbe d’obbligo per vere e proprie misure di tutela di carattere territoriale o urbanistica.
In altri termini il Governo, anche alla luce della sconcertante, mancata stesura delle Linee Guida da parte delle Regioni (in ottemperanza alle Linee Guida nazionali), nel migliore dei casi emanate in una ottica di scarsa efficacia, potrebbe escludere totalmente dall’incentivo alcuni nuovi impianti eolici ricadenti, ad esempio, entro una fascia di rispetto dai siti Unesco, dai Parchi Nazionali, da aree a vincolo paesaggistico o gravate da siti riproduttivi di specie faunistiche di rilievo internazionale, ecc, ecc, ancorché autorizzati ma non realizzati entro un dato periodo.
Ma la valutazione complessiva sull’eolico deve collegarsi anche all’imminente decreto attuativo sull’incentivazione al FV.
Intanto emerge un elemento di preoccupazione poiché, all’art.3 comma 2 del decreto le cave sono escluse dalle “aree agricole”, dove invece vigono le limitazioni per il grande FV over 1 MW.
Un simile provvedimento:
a) introduce il potenziale degrado definitivo di aree che, per quanto occupate da cave, anche dismesse possono notoriamente essere oggetto di colonizzazione per la biodiversità che in questi siti può svilupparsi autonomamente e tornare a rappresentare territorio non ancora “consumato”.
b) Manderebbe all’aria fideiussioni e programmi che i gestori delle cave hanno dovuto prevedere per il ripristino paesaggistico e ambientale all’atto della dismissione, in base a norme di settore. Un regalo ai cavatori e una offesa agli interessi collettivi autentici.
Per contro non compaiono misure per disincentivare azioni elusive attraverso le cosiddette “serre fotovoltaiche”, nuova frontiera della speculazione energetica.
Ulteriore aspetto negativo è determinato dal parere/richiesta espresso dalla Conferenza Stato Regioni sul decreto lo scorso 28 aprile in merito alla definizione di “piccoli impianti” ai fini delle soglie incentivanti. La Conferenza ha chiesto vergognosamente di elevare la potenza dai previsti 200KW, su edifici o in regime di scambio sul posto, a quella di 1 MW (2 ettari) indipendentemente dalla allocazione !
Più nel dettaglio di questo decreto attuativo, si evince che la potenza FV installabile prevista in scaglioni periodici dovrebbe raggiungere la soglia di 23.000 MW al 2016 invece che gli 8000 MW al 2010 prima previsti ! Si ricorda che il GSE ha consuntivato circa 7000 MW in esercizio e quindi l’imminente superamento dei previsti 8000 MW.
Esulando da una pur giusta riflessione sulla inopportunità di prevedere questa soglia al 2016 e non più economicamente spalmata fino al 2020, emergono due considerazioni:
1) Se per assurdo l’eolico fosse bloccato ai 6000 MW (5000 torri) in esercizio al 31.12.2010 (ma almeno altrettanti sono ormai i MW tra follemente autorizzati o con parere ambientale espresso), unitamente ai 23.000 MW di FV previsto si raggiungerebbero quasi 30.000 MW di potenza elettrica attivabile da fonti intermittenti non programmabili . Potenza che, per la sicurezza del sistema elettrico nazionale, non dovrebbe superare il 20 % della potenza massima in gioco (almeno allo stato attuale delle tecnologie), ovvero il 20% di 56.000 MW.
2) Nell’ambito del P.A.N. (Piano d’Azione Nazionale) sulle FER (30.06.2010) trasmesso dal Governo alla UE, l’Italia si è impegnata a raggiungere al 2020 la sua quota di rinnovabile attraverso una serie di misure tra cui, nel comparto elettrico appunto, l’insediamento di una capacità di 8.000 MW di FV e 12.000 MW di eolico on-shore ricavandone le relative previsioni di produzione energetica: rispettivamente 9.650 GWh e 18.000 GWh.
E’ evidente che se la potenza di FV lievitasse a 23.000 MW (per altro al 2016) ci si attenderebbe in proporzione (pur senza immaginare margini di miglioramento nella resa della tecnologia FV) oltre 27700 GWh di energia, quindi oltre 18.000 GWh di energia IN PIU’, pari a TUTTO il contributo eolico al 2020 ma, ancor più opportunamente, sufficiente ad assorbire abbondantemente i 9000 GWh immaginabili con gli ulteriori 6000 MW di eolico ancora non realizzati (per quanto meno produttivi rispetto ai “primi” 6000 MW che hanno saturato già le aree relativamente più ventose)
3) Una serie di misure a più alta efficacia nel comparto delle rinnovabili termiche, dell’efficienza energetica, della rimodulazione dei trasporti sono ancora al palo e necessitano di incentivi che si fa fatica a reperire. Invece fiumi di denaro scorrono dalle bollette degli italiani alle società eoliche con effetti territoriali tutt’altro che indolori rispetto ai comparti anzidetti.
In conclusione sarebbe possibile, doveroso, respingere il completamento del disastro eolico in atto, attraverso i futuri decreti attuativi da emanarsi sull’incentivazione eolica, prevedendo:
- un drastico abbassamento della soglia di potenza eolica prevista nel PAN a fronte della notevole lievitazione di quella FV.
- una più che legittima e immediata disincentivazione di questa fonte, sia in valore assoluto, che penalizzando ulteriormente a monte quegli impianti eccessivamente impattanti ancorché autorizzati ma ancora non realizzati, almeno entro un certo transitorio temporale.
- una limitata premialità solo per progetti che si facciano carico di assorbire quote di potenza da aree di elevato pregio ambientale devastate da tali impianti.
- una definizione, per quanto imbarazzante, degli obiettivi da assegnare alle varie Regioni. In tal caso infatti si scoprirebbe come alcune regioni in realtà abbiano più che superato queste previsioni, potendosi già negoziare forme di riequilibrio “statistico” dell’energia prodotta a fronte di accordi interregionali.
Potrebbe essere rilanciato, e trovare concreta applicazione, l’appello promosso di recente da alcune personalità di spicco:
BASTA eolico. PIU fotovoltaico, NON “tutto e subito” , NON sui terreni liberi .
…. e iniziando a sostenere la ricerca nel settore, senza della quale le “nuove” rinnovabili sono destinate ad offrire contributi percentuali da prefisso telefonico o quasi.
E.C. 06.05.2011
lunedì 9 maggio 2011
Il volo dei rapaci nello Stretto. Denunciati quattro bracconieri
Il volo dei rapaci nello Stretto Denunciati quattro bracconieri La Forestale li ha sorpresi a Mortelle: hanno tentato la fuga in mare
Ventottomila rapaci di passaggio nell'ultimo mese, ben 23 mila in soli 12 giorni, dal 25 aprile al 6 maggio, giornata che passerà alla storia con il censimento di ben ottomila falchi pecchiaioli nei cieli dello Stretto. Sono numeri straordinari ai quali se ne contrappongono altri, fortunatamente inferiori, ma che purtroppo riflettono il persistere di un fenomeno odioso quale il bracconaggio. Andiamo con ordine.
Gli eccezionali eventi di questi giorni di primavera sono stati documentati dai volontari che stanno prendendo parte al Campo internazionale "per lo studio e la protezione dei rapaci e delle cicogne in migrazione nello Stretto di Messina", promosso dall'Associazione mediterranea per la Natura in collaborazione con il Wwf Italia e la Nabu. «Lo spettacolo della migrazione – sottolineano i responsabili delle tre associazioni ambientaliste, Anna Giordano, Deborah Ricciardi e Cristoph Hein – non finisce mai di stupire le decine di persone che giungono da molti Paesi europei (Irlanda, Danimarca, Inghilterra, Germania) e dall'America, per ammirare sullo Stretto specie difficilmente osservabili altrove. Finora sono state osservate ben 24 specie diverse di rapaci (su 38 censite dal 1984), alcune delle quali molto rare (capovaccaio, aquila anatraia minore), altre minacciate a livello globale per la loro elevatissima vulnerabilità e osservabili solo lungo questa rotta migratoria (albanella pallida, grillaio) e ancora lo splendido falco cuculo, il falco di palude minacciato ormai ovunque per la rarefazione delle zone umide e l'albanella minore. Ad oggi sono ben 327 le specie censite nel territorio dello Stretto, importantissima rotta migratoria per gli uccelli che svernano in Africa e tornano in primavera in Europa per riprodursi».
Il Campo è nato come attività di studio e di protezione dei rapaci dagli attacchi delle doppiette in azione nonostante i periodi di chiusura della caccia. Il bracconaggio sui Peloritani è andato riducendosi nelle sue dimensioni, ma è un fenomeno che continua a preoccupare. E proprio la notte del 6 maggio, gli uomini del Corpo forestale con il coordinamento dell'Ispettorato ripartimentale delle foreste di Messina, a Torre Faro, quasi in prossimità dell'Istituto Marino di Mortelle, hanno sorpreso quattro bracconieri: R.L., 38 anni, D.G., 56 anni, D.N., 21 anni, e S.D., 56 anni, tutti residenti a Messina. I quattro esercitavano l'uccellagione con l'aiuto di reti e richiami elettromeccanici, per catturare quaglie in fase di migrazione. Alla vista degli uomini della Forestale hanno tentato la fuga addirittura a nuoto, ma sono stati fermati. Sotto sequestro l'intera attrezzatura utilizzata: un richiamo acustico elettromeccanico formato da una batteria e da un altoparlante, due reti, quattro profilati tubolari. C'erano anche cinque povere quaglie morte. I bracconieri sono stati denunciati a piede libero.(l.d.)
Fonte: Gazzetta del Sud Online 9 maggio 2011
Ventottomila rapaci di passaggio nell'ultimo mese, ben 23 mila in soli 12 giorni, dal 25 aprile al 6 maggio, giornata che passerà alla storia con il censimento di ben ottomila falchi pecchiaioli nei cieli dello Stretto. Sono numeri straordinari ai quali se ne contrappongono altri, fortunatamente inferiori, ma che purtroppo riflettono il persistere di un fenomeno odioso quale il bracconaggio. Andiamo con ordine.
Gli eccezionali eventi di questi giorni di primavera sono stati documentati dai volontari che stanno prendendo parte al Campo internazionale "per lo studio e la protezione dei rapaci e delle cicogne in migrazione nello Stretto di Messina", promosso dall'Associazione mediterranea per la Natura in collaborazione con il Wwf Italia e la Nabu. «Lo spettacolo della migrazione – sottolineano i responsabili delle tre associazioni ambientaliste, Anna Giordano, Deborah Ricciardi e Cristoph Hein – non finisce mai di stupire le decine di persone che giungono da molti Paesi europei (Irlanda, Danimarca, Inghilterra, Germania) e dall'America, per ammirare sullo Stretto specie difficilmente osservabili altrove. Finora sono state osservate ben 24 specie diverse di rapaci (su 38 censite dal 1984), alcune delle quali molto rare (capovaccaio, aquila anatraia minore), altre minacciate a livello globale per la loro elevatissima vulnerabilità e osservabili solo lungo questa rotta migratoria (albanella pallida, grillaio) e ancora lo splendido falco cuculo, il falco di palude minacciato ormai ovunque per la rarefazione delle zone umide e l'albanella minore. Ad oggi sono ben 327 le specie censite nel territorio dello Stretto, importantissima rotta migratoria per gli uccelli che svernano in Africa e tornano in primavera in Europa per riprodursi».
Il Campo è nato come attività di studio e di protezione dei rapaci dagli attacchi delle doppiette in azione nonostante i periodi di chiusura della caccia. Il bracconaggio sui Peloritani è andato riducendosi nelle sue dimensioni, ma è un fenomeno che continua a preoccupare. E proprio la notte del 6 maggio, gli uomini del Corpo forestale con il coordinamento dell'Ispettorato ripartimentale delle foreste di Messina, a Torre Faro, quasi in prossimità dell'Istituto Marino di Mortelle, hanno sorpreso quattro bracconieri: R.L., 38 anni, D.G., 56 anni, D.N., 21 anni, e S.D., 56 anni, tutti residenti a Messina. I quattro esercitavano l'uccellagione con l'aiuto di reti e richiami elettromeccanici, per catturare quaglie in fase di migrazione. Alla vista degli uomini della Forestale hanno tentato la fuga addirittura a nuoto, ma sono stati fermati. Sotto sequestro l'intera attrezzatura utilizzata: un richiamo acustico elettromeccanico formato da una batteria e da un altoparlante, due reti, quattro profilati tubolari. C'erano anche cinque povere quaglie morte. I bracconieri sono stati denunciati a piede libero.(l.d.)
Fonte: Gazzetta del Sud Online 9 maggio 2011
lunedì 2 maggio 2011
Sicilia: rubati nidi di Aquila del Bonelli e del Falco Lanario
di Giovanni Guadagna
Il racket alimentato dagli spettacoli di falconeria pagati dagli enti locali. Il parere dell'esperto e l'attività del Corpo Forestale dello Stato.
GEAPRESS – Nonostante i recenti successi del Corpo Forestale dello Stato, che agisce su delega della Procura della Repubblica di Caltanissetta (vedi articolo GeaPress) e dei campi di sorveglianza organizzati dalle associazioni protezioniste (vedi articolo GeaPress), un’altro nido di Aquila del Bonelli è stato depredato nei giorni scorsi in Sicilia. Secondo indiscrezioni pervenute a GeaPress sul caso starebbe indagando proprio il Corpo Forestale dello Stato che continua la sua attività in Sicilia grazie alla delega alle indagini della Procura nissena. Oggi, probabilmente, saranno formalizzate le prime denunce.
Bocche cucite sul luogo del furto dei due pulcini di aquila ma è quasi certo che trattasi della provincia di Caltanissetta. Dal nido sarebbero stati prelevati i piccoli, che verosimilmente saranno inviati, con documentazione Cites di copertura, fuori dalla Sicilia per essere riciclati, come dimostrato nella precedente operazione del Corpo Forestale dello Stato (vedi articolo GeaPress). Gli animali, prelevati da bracconieri siciliani legati al mondo della falconeria, giungono, tramite allevatori compiacenti del nord Italia, in strutture centro europee. Da qui, con certificazione di copertura di origine spagnola e belga vengono inviati a falconieri anche italiani. La destinazione di questi rapaci è sconfortante. Si tratta in genere, sempre secondo la Forestale, di spettacoli di falconeria acquistati dalle pubbliche amministrazioni per feste di stampo medioevale.
Del nuovo furto dell’Aquila del Bonelli, GeaPress ne ha avuto conferma, stamani, dal Responsabile della Sezione Investigativa Cites del Corpo Forestale dello Stato, dott. Marco Fiori. Secondo il dott. Fiori “appare evidente la percezione di inattaccabilità che favorisce l’attività dei bracconieri. Gente - secondo il Responsabile della Sezione Investigativa – che procura un danno gravissimo alle popolazioni di rapaci, specie quelle siciliane e calabresi particolarmente soggette all’azione di depredazione dei bracconieri“.
Già nei giorni scorsi si era saputo, inoltre, di almeno un nido di Falco Lanario depredato nella Sicilia orientale.
Secondo il prof. Bruno Massa, ornitologo di fama internazionale e docente presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Palermo, si tratta di una notizia molto grave, sia per l’Aquila del Bonelli che per il Lanario.
“Per il Lanario – ha dichiarato a GeaPress il prof. Massa – la maggior parte della popolazione europea si trova in Italia. Nel nostro paese, poi, la roccaforte è proprio in Sicilia. La Sicilia, pertanto, ha la maggiore responsabilità internazionale per la conservazione di questa specie“.
Tra i fattori determinati dalle attività umane (abiotici) che stanno determinando il declino, vi sono, sempre secondo il prof. Massa, il bracconaggio e il ritorno della falconeria.
“Un fenomeno, quello della falconeria, incoscientemente enfatizzato dagli enti locali – specifica il prof. Massa – alla ricerca di attività emotivamente d’effetto nel corso di spettacoli di sapore medioevale. Un vero e proprio ritorno al medioevo“.
Sull’Aquila del Bonelli le cose non stanno meglio. Secondo il prof. Massa, l’Aquila è estinta in quasi tutto il resto dell’Italia e le ultime popolazioni (circa 15-20 coppie) vivono in Sicilia.
“A livello internazionale – spiega il prof. Massa – l’Aquila del Bonelli è meno minacciata del Lanario, ma va specificato che la sua capacità di ripresa, a differenza dei più piccoli falchi, è più bassa così come per tutte le aquile. La Sicilia ha ormai una popolazione molto ridotta, - ha aggiunto Massa – che meriterebbe una protezione rigorosissima“.
Secondo il prof. Massa, sia per il Lanario che per l’Aquila del Bonelli, si tratta poi di popolazioni molto disperse, fatto questo che rende difficile il controllo. Cosa diversa per il piccolo Grillaio, altro rapace a rischio, che invece ha nuclei molto concentrati.
Il boom dei falconieri si è avuto dopo la nefasta modifica della legge sulla caccia che nel 1992 ha, infatti, autorizzato questa attività come mezzo di caccia. Prima di allora chi depredava nei nidi erano prevalentemente gruppi di bracconieri tedeschi, molto specializzati. Arrivavano in Sicilia con furgoni attrezzati con incubatrici. Un bracconaggio di nicchia più facilmente controllabile. Con l’incredibile permissivismo della legge sulla caccia, invece, vi è stato un vero e proprio boom che secondo quanto scoperto dagli inquirenti, si serve di bracconieri locali che prelevano i pulcini dai nidi. Una vera e propria organizzazione a delinquere ben ramificata a livello internazionale. Deprimente, poi, che i rapaci servano a fornire spettacoli pagati dalle pubbliche amministrazioni e molto in uso anche in giardini zoologici e circhi. (Fonte: GEAPRESS 02 maggio 2011)
Il racket alimentato dagli spettacoli di falconeria pagati dagli enti locali. Il parere dell'esperto e l'attività del Corpo Forestale dello Stato.
GEAPRESS – Nonostante i recenti successi del Corpo Forestale dello Stato, che agisce su delega della Procura della Repubblica di Caltanissetta (vedi articolo GeaPress) e dei campi di sorveglianza organizzati dalle associazioni protezioniste (vedi articolo GeaPress), un’altro nido di Aquila del Bonelli è stato depredato nei giorni scorsi in Sicilia. Secondo indiscrezioni pervenute a GeaPress sul caso starebbe indagando proprio il Corpo Forestale dello Stato che continua la sua attività in Sicilia grazie alla delega alle indagini della Procura nissena. Oggi, probabilmente, saranno formalizzate le prime denunce.
Bocche cucite sul luogo del furto dei due pulcini di aquila ma è quasi certo che trattasi della provincia di Caltanissetta. Dal nido sarebbero stati prelevati i piccoli, che verosimilmente saranno inviati, con documentazione Cites di copertura, fuori dalla Sicilia per essere riciclati, come dimostrato nella precedente operazione del Corpo Forestale dello Stato (vedi articolo GeaPress). Gli animali, prelevati da bracconieri siciliani legati al mondo della falconeria, giungono, tramite allevatori compiacenti del nord Italia, in strutture centro europee. Da qui, con certificazione di copertura di origine spagnola e belga vengono inviati a falconieri anche italiani. La destinazione di questi rapaci è sconfortante. Si tratta in genere, sempre secondo la Forestale, di spettacoli di falconeria acquistati dalle pubbliche amministrazioni per feste di stampo medioevale.
Del nuovo furto dell’Aquila del Bonelli, GeaPress ne ha avuto conferma, stamani, dal Responsabile della Sezione Investigativa Cites del Corpo Forestale dello Stato, dott. Marco Fiori. Secondo il dott. Fiori “appare evidente la percezione di inattaccabilità che favorisce l’attività dei bracconieri. Gente - secondo il Responsabile della Sezione Investigativa – che procura un danno gravissimo alle popolazioni di rapaci, specie quelle siciliane e calabresi particolarmente soggette all’azione di depredazione dei bracconieri“.
Già nei giorni scorsi si era saputo, inoltre, di almeno un nido di Falco Lanario depredato nella Sicilia orientale.
Secondo il prof. Bruno Massa, ornitologo di fama internazionale e docente presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Palermo, si tratta di una notizia molto grave, sia per l’Aquila del Bonelli che per il Lanario.
“Per il Lanario – ha dichiarato a GeaPress il prof. Massa – la maggior parte della popolazione europea si trova in Italia. Nel nostro paese, poi, la roccaforte è proprio in Sicilia. La Sicilia, pertanto, ha la maggiore responsabilità internazionale per la conservazione di questa specie“.
Tra i fattori determinati dalle attività umane (abiotici) che stanno determinando il declino, vi sono, sempre secondo il prof. Massa, il bracconaggio e il ritorno della falconeria.
“Un fenomeno, quello della falconeria, incoscientemente enfatizzato dagli enti locali – specifica il prof. Massa – alla ricerca di attività emotivamente d’effetto nel corso di spettacoli di sapore medioevale. Un vero e proprio ritorno al medioevo“.
Sull’Aquila del Bonelli le cose non stanno meglio. Secondo il prof. Massa, l’Aquila è estinta in quasi tutto il resto dell’Italia e le ultime popolazioni (circa 15-20 coppie) vivono in Sicilia.
“A livello internazionale – spiega il prof. Massa – l’Aquila del Bonelli è meno minacciata del Lanario, ma va specificato che la sua capacità di ripresa, a differenza dei più piccoli falchi, è più bassa così come per tutte le aquile. La Sicilia ha ormai una popolazione molto ridotta, - ha aggiunto Massa – che meriterebbe una protezione rigorosissima“.
Secondo il prof. Massa, sia per il Lanario che per l’Aquila del Bonelli, si tratta poi di popolazioni molto disperse, fatto questo che rende difficile il controllo. Cosa diversa per il piccolo Grillaio, altro rapace a rischio, che invece ha nuclei molto concentrati.
Il boom dei falconieri si è avuto dopo la nefasta modifica della legge sulla caccia che nel 1992 ha, infatti, autorizzato questa attività come mezzo di caccia. Prima di allora chi depredava nei nidi erano prevalentemente gruppi di bracconieri tedeschi, molto specializzati. Arrivavano in Sicilia con furgoni attrezzati con incubatrici. Un bracconaggio di nicchia più facilmente controllabile. Con l’incredibile permissivismo della legge sulla caccia, invece, vi è stato un vero e proprio boom che secondo quanto scoperto dagli inquirenti, si serve di bracconieri locali che prelevano i pulcini dai nidi. Una vera e propria organizzazione a delinquere ben ramificata a livello internazionale. Deprimente, poi, che i rapaci servano a fornire spettacoli pagati dalle pubbliche amministrazioni e molto in uso anche in giardini zoologici e circhi. (Fonte: GEAPRESS 02 maggio 2011)
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