Con il Decreto Romani del 03.03.2011 pubblicato in GU 28.03.2011 sono state introdotte delle novità nel settore delle rinnovabili. Limitatamente agli aspetti di maggiore interesse per le tutele del territorio è opportuno identificarne alcuni e cercare di capire quali possano essere le emergenze da perseguire in una politica complessiva di salvaguardia.
PROCEDURE
Intanto viene introdotta la “procedura abilitativa semplificata” (PAS) che va a sostituire la D.I.A. (Dichiarazione di Inizio Attività) già prevista per talune tipologie di impianti nelle Linee Guida Nazionali. Tale procedura abilitativa è una sorta di super DIA con cui, indicativamente, sembra che sia il comune e non più il proponente ad assumersi l’onere di raccogliere eventuali atti di assenso necessari a corredare la richiesta del titolo abilitativo.
E’ demandato alle Regioni il compito di individuare formule con cui prevenire effetti cumulativi ed elusioni in ordine ad un utilizzo improprio della PAS. Cosa che ragionevolmente non avverrà mai o sarà del tutto superficiale con intuibili conseguenze.
Sempre nel campo delle procedure, per i procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del Decreto, viene sancita la compressione a 3 mesi (erano 6 mesi) del tempo necessario a completare il procedimento di Autorizzazione Unica con relative conferenze di servizio, al netto dei tempi previsti della procedura di verifica/VIA.
Attenzione: al netto dei “TEMPI previsti per …” e non semplicemente al netto della verifica/VIA. Sembrerebbe che i tempi già cadenzati per le valutazioni di carattere ambientale diventano essi stessi contingentati ai fini della legittimità sul procedimento complessivo. Fino ad oggi era orientamento consolidato che la procedura di verifica/VIA rappresentasse un endoprocedimento a se stante, seppur con tempi programmati ma quasi mai rispettati per intuibili difficoltà o per approfondimenti richiesti al proponente.
Questo dettaglio rischia di offrire una ulteriore sponda agli speculatori in sede di ricorso amministrativo visti i tempi e le capacità organizzative della Pubblica Amministrazione.
Assolutamente deleterio è l’art.6, comma 9, : le Regioni possono elevare la soglia di potenza fino a 1 MW nell’applicazione della PAS per tutte le tipologie di impianti FER.
Ove applicata, questa disposizione comporterà il caos totale come accaduto in Puglia dove una simile quanto indebita deregolamentazione è stata drammaticamente sperimentata per l’eolico con la D.I.A.. Centinaia e centinaia di istanze sono approdate a UTC comunali del tutto impreparati (o compiacenti), fino a quando la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale rispetto ai più bassi limiti che erano previsti dalla norma nazionale.
In realtà il provvedimento appare del tutto funzionale a “salvare” un’altra analoga norma di deregolamentazione tutt’ora disastrosamente in vigore in Basilicata, sebbene dichiarata illegittima anche qui con un recente pronunciamento della Corte Costituzionale, evidentemente vanificato dall’articolo in questione. Altre Regioni si stanno già orientando in questa direzione.
La deregolamentazione era purtroppo sostenuta anche nella proposta di Legge di iniziativa popolare sull’Energia, promossa mesi fa con raccolte di firme da parte di alcune associazioni (Legambiente, Greenpeace, Wwf ed altre).
Quanto alla “Comunicazione per attività in edilizia libera”, essa continua ad applicarsi secondo quando previsto dalle recenti Linee Guida nazionali (per micro impianti, es. eolico con rotore da 1m e h da 1,5m). Ma anche qui è prevista la possibilità per le Regioni di elevare le soglie di potenza fino a 50KW o di qualsivoglia potenza per FV sui tetti, al netto di eventuali norme di tutela ambientale applicabili al caso.
REQUISITI per il FOTOVOLTAICO a TERRA
L’art.10 comma 4 introduce un positivo (ma non esaustivo) argine al FV sui terreni liberi. Esso esclude dagli incentivi (quindi non applica un divieto urbanistico che sarebbe stato necessario concertare obbligatoriamente con le Regioni) tutti gli impianti FV superiori a 1 MW con moduli collocati a terra sui terreni agricoli.
A questo limite si aggiunge la distanza minima di 2 Km nel caso gli impianti siano su terreni appartenenti allo stesso proprietario. In ogni caso non può essere destinato più del 10% del terreno nella disponibilità del proponente.
Tuttavia queste prescrizioni non possono considerarsi esaustive per la tutela dei terreni agricoli se si considera che 1 MW di FV corrispondono pur sempre a circa 2 ettari.
Inoltre questa disposizione non si applica ai terreni abbandonati da almeno 5 anni.
Non è chiaro cosa e come si possa intendere per “abbandonati”, nemmeno come e da quando si possa certificare lo stato di “abbandono” ma paradossalmente emerge un grave rischio proprio per le aree più pregevoli dal punto di vista ambientale. In genere sono proprio gli incolti o i pascoli, cioè terreni non utilizzati dall’agricoltura, a rappresentare le aree di maggiore interesse per la concentrazione di biodiversità che presentano e per l’ovvio valore ecologico e paesaggistico.
Degno di attenzione è il transitorio con cui entra in vigore questa disposizione: essa non si applica ai progetti che abbiano conseguito l’autorizzazione entro la data di entrata in vigore del Decreto o presentati entro il 1 gennaio 2011 PURCHE’, tuttavia, l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (29 marzo 2012).
E’ del tutto evidente che per salvare le aree già gravate da progetti presentati o addirittura autorizzati, gioca un ruolo fondamentale il “rallentamento” dell’iter autorizzativo e dei tempi realizzativi di un grosso impianto, che indurrebbero a loro volta un fattore di rischio per la società proponente e per l’istituto di credito finanziatore, quindi, si spera, l’orientamento a desistere nel realizzare un impianto di grossa taglia per quanto autorizzato !
INCENTIVI
E’ previsto che agli impianti oltre 5 MW entrati in esercizio dal 1 gennaio 2013 siano assegnati incentivi attraverso aste al ribasso rispetto ad una soglia predefinita. L’incentivo sarà diversificato per fonti, soglie di potenza ed altri criteri. Non è chiaro se vi saranno anche criteri di natura territoriale, quindi orientati a compensare la diversa producibilità dell’impianto sul territorio nazionale, quindi nell’ottica di perseguire le soglie di potenza che sarebbero assegnate alle regioni.
E’ previsto inoltre un sistema di transizione dal vecchio al nuovo sistema incentivante anche per gli impianti che già in esercizio o che entrino in esercizio prima del 2013.
In particolare i Certificati Verdi per l’eolico resteranno in vigore fino a tutto il 2015 e il valore di quelli eccedenti il rispetto della quota d’obbligo (non negoziati sul mercato), e quindi di cui il GSE garantisce il ritiro, è pari al 78% del prezzo stabilito.
Entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto (entro settembre) dovranno essere emanati i decreti che disciplinano l’incentivazione per gli impianti in genere sotto i 5MW e quelli sottoposti a rifacimento, il sistema di aste per quelli oltre 5 MW e i sistemi di transizione.
Per il FV l’incentivo attuale è garantito per gli impianti che entrino in esercizio entro maggio c.a.. Tuttavia è in corso di pubblicazione il decreto attuativo in ordine alla incentivazione successiva a maggio.
E’ prevista la possibilità di accordi tra l’Italia ed altri Stati per trasferimenti statistici di energia allo scopo di rispettare le quote di competenza di rinnovabile ma solo ove non fossero raggiunti gli obiettivi intermedi. Analogamente è prevista la possibilità tra le Regioni, o tra queste ed enti esteri, di negoziare il trasferimento di quote di produzione energetica da FER rispetto a quelle assegnate.
E’ introdotta, inoltre, l’interdizione agli incentivi per tutte quelle figure eventualmente coinvolte in istanze di accesso agli incentivi basate su dati falsi o addirittura prive di titoli abilitativi, nonché sanzioni amministrative in tal senso.
A giudicare dalla mole di richieste di autorizzazione di impianti eolici che tutt’ora continuano drammaticamente ad inondare le Autorità competenti, non sembra che l’orientamento politico introdotto con il Decreto abbia scoraggiato gli speculatori, almeno nel conseguimento di autorizzazioni.
E’ ragionevole immaginare che la lobby eolica, pur nell’incertezza del momento, abbia comunque interesse a saturare il mercato dei titoli abilitativi sul territorio per poi giocarli eventualmente con il nuovo sistema incentivante sperando che sia il più lauto possibile, magari condizionandolo pesantemente la concertazione di questi mesi.
DECRETI ATTUATIVI
Tanto dipende quindi dai decreti attuativi in materia di incentivazione, dai quali potranno meglio identificarsi gli interessi alla vera e propria realizzazione degli impianti, anche di quelli già autorizzati ma che dovranno, anche se realizzati prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema incentivante, essere traghettati comunque verso il nuovo sistema, presumibilmente maturando alcuni vantaggi per via di diritti acquisiti.
Questa fase transitoria è quindi determinante, soprattutto per l’eolico.
Sarebbe utile anche comprendere quanto rapida possa essere la realizzazione di un impianto eolico e quando effettivamente oggi appaia attraente l’investimento, soprattutto nelle aree meridionali, malgrado l’ipotetico fattore di rischio.
Analogamente all’interdizione dei grossi impianti FV sui terreni liberi ottenuta attraverso lo strumento della disincentivazione, appare utile perseguire una ipotesi di condizionamento dell’incentivo eolico in base alla tipologia di impianto e alla sua collocazione.
In altri termini l’interdizione all’incentivo per impianti ricadenti in particolari situazioni impattanti di rilievo nazionale, e quindi di interesse dello Stato (pur con i necessari quanto pericolosi transitori rispetto ai diritti acquisiti), sarebbe immediatamente emanabile senza concertazioni capestro con le Regioni e come invece sarebbe d’obbligo per vere e proprie misure di tutela di carattere territoriale o urbanistica.
In altri termini il Governo, anche alla luce della sconcertante, mancata stesura delle Linee Guida da parte delle Regioni (in ottemperanza alle Linee Guida nazionali), nel migliore dei casi emanate in una ottica di scarsa efficacia, potrebbe escludere totalmente dall’incentivo alcuni nuovi impianti eolici ricadenti, ad esempio, entro una fascia di rispetto dai siti Unesco, dai Parchi Nazionali, da aree a vincolo paesaggistico o gravate da siti riproduttivi di specie faunistiche di rilievo internazionale, ecc, ecc, ancorché autorizzati ma non realizzati entro un dato periodo.
Ma la valutazione complessiva sull’eolico deve collegarsi anche all’imminente decreto attuativo sull’incentivazione al FV.
Intanto emerge un elemento di preoccupazione poiché, all’art.3 comma 2 del decreto le cave sono escluse dalle “aree agricole”, dove invece vigono le limitazioni per il grande FV over 1 MW.
Un simile provvedimento:
a) introduce il potenziale degrado definitivo di aree che, per quanto occupate da cave, anche dismesse possono notoriamente essere oggetto di colonizzazione per la biodiversità che in questi siti può svilupparsi autonomamente e tornare a rappresentare territorio non ancora “consumato”.
b) Manderebbe all’aria fideiussioni e programmi che i gestori delle cave hanno dovuto prevedere per il ripristino paesaggistico e ambientale all’atto della dismissione, in base a norme di settore. Un regalo ai cavatori e una offesa agli interessi collettivi autentici.
Per contro non compaiono misure per disincentivare azioni elusive attraverso le cosiddette “serre fotovoltaiche”, nuova frontiera della speculazione energetica.
Ulteriore aspetto negativo è determinato dal parere/richiesta espresso dalla Conferenza Stato Regioni sul decreto lo scorso 28 aprile in merito alla definizione di “piccoli impianti” ai fini delle soglie incentivanti. La Conferenza ha chiesto vergognosamente di elevare la potenza dai previsti 200KW, su edifici o in regime di scambio sul posto, a quella di 1 MW (2 ettari) indipendentemente dalla allocazione !
Più nel dettaglio di questo decreto attuativo, si evince che la potenza FV installabile prevista in scaglioni periodici dovrebbe raggiungere la soglia di 23.000 MW al 2016 invece che gli 8000 MW al 2010 prima previsti ! Si ricorda che il GSE ha consuntivato circa 7000 MW in esercizio e quindi l’imminente superamento dei previsti 8000 MW.
Esulando da una pur giusta riflessione sulla inopportunità di prevedere questa soglia al 2016 e non più economicamente spalmata fino al 2020, emergono due considerazioni:
1) Se per assurdo l’eolico fosse bloccato ai 6000 MW (5000 torri) in esercizio al 31.12.2010 (ma almeno altrettanti sono ormai i MW tra follemente autorizzati o con parere ambientale espresso), unitamente ai 23.000 MW di FV previsto si raggiungerebbero quasi 30.000 MW di potenza elettrica attivabile da fonti intermittenti non programmabili . Potenza che, per la sicurezza del sistema elettrico nazionale, non dovrebbe superare il 20 % della potenza massima in gioco (almeno allo stato attuale delle tecnologie), ovvero il 20% di 56.000 MW.
2) Nell’ambito del P.A.N. (Piano d’Azione Nazionale) sulle FER (30.06.2010) trasmesso dal Governo alla UE, l’Italia si è impegnata a raggiungere al 2020 la sua quota di rinnovabile attraverso una serie di misure tra cui, nel comparto elettrico appunto, l’insediamento di una capacità di 8.000 MW di FV e 12.000 MW di eolico on-shore ricavandone le relative previsioni di produzione energetica: rispettivamente 9.650 GWh e 18.000 GWh.
E’ evidente che se la potenza di FV lievitasse a 23.000 MW (per altro al 2016) ci si attenderebbe in proporzione (pur senza immaginare margini di miglioramento nella resa della tecnologia FV) oltre 27700 GWh di energia, quindi oltre 18.000 GWh di energia IN PIU’, pari a TUTTO il contributo eolico al 2020 ma, ancor più opportunamente, sufficiente ad assorbire abbondantemente i 9000 GWh immaginabili con gli ulteriori 6000 MW di eolico ancora non realizzati (per quanto meno produttivi rispetto ai “primi” 6000 MW che hanno saturato già le aree relativamente più ventose)
3) Una serie di misure a più alta efficacia nel comparto delle rinnovabili termiche, dell’efficienza energetica, della rimodulazione dei trasporti sono ancora al palo e necessitano di incentivi che si fa fatica a reperire. Invece fiumi di denaro scorrono dalle bollette degli italiani alle società eoliche con effetti territoriali tutt’altro che indolori rispetto ai comparti anzidetti.
In conclusione sarebbe possibile, doveroso, respingere il completamento del disastro eolico in atto, attraverso i futuri decreti attuativi da emanarsi sull’incentivazione eolica, prevedendo:
- un drastico abbassamento della soglia di potenza eolica prevista nel PAN a fronte della notevole lievitazione di quella FV.
- una più che legittima e immediata disincentivazione di questa fonte, sia in valore assoluto, che penalizzando ulteriormente a monte quegli impianti eccessivamente impattanti ancorché autorizzati ma ancora non realizzati, almeno entro un certo transitorio temporale.
- una limitata premialità solo per progetti che si facciano carico di assorbire quote di potenza da aree di elevato pregio ambientale devastate da tali impianti.
- una definizione, per quanto imbarazzante, degli obiettivi da assegnare alle varie Regioni. In tal caso infatti si scoprirebbe come alcune regioni in realtà abbiano più che superato queste previsioni, potendosi già negoziare forme di riequilibrio “statistico” dell’energia prodotta a fronte di accordi interregionali.
Potrebbe essere rilanciato, e trovare concreta applicazione, l’appello promosso di recente da alcune personalità di spicco:
BASTA eolico. PIU fotovoltaico, NON “tutto e subito” , NON sui terreni liberi .
…. e iniziando a sostenere la ricerca nel settore, senza della quale le “nuove” rinnovabili sono destinate ad offrire contributi percentuali da prefisso telefonico o quasi.
E.C. 06.05.2011